F1 | GP Australia – Vettel, Hamilton, Grosjean: a Melbourne la F1 si riscopre umanissima…
Monoposto sempre più tecnologiche,ma la F1 riesce ancora ad appassionare perché racconta storie di uomini...
Homo sum, humani nihil a me alienum puto. Sono uomo e nulla di ciò che mi umano mi è estraneo. Così scriveva Terenzio nel II secolo a.C. e questa frase rappresenta perfettamente le pulsioni e gli atteggiamenti di Sebastian Vettel e Lewis Hamilton in questo fine settimana. In una Formula 1 più tecnologica che mai, asettica, quasi proiettata nel futuro, con mille parametri da controllare e motori capaci di un chilometraggio mostruoso, questi due qui sembrano isolarsi e salire su un ring che è tutto loro, uno spazio dove sfidarsi a suon di battute, schermaglie, provocazioni, giochetti psicologici. Azione e reazione, un confronto già teso alla prima gara, una sfida che prosegue dal 2017, una singolar tenzone da romanzo cavalleresco, spogliata di qualsivoglia elemento tecnico.
E’ stato così, dopotutto, anche in pista. Perché ha vinto Sebastian, l’ha spuntata il tedesco, con la vettura inferiore, e partiva terzo, neanche in prima fila. Ha accusato il colpo l’altro, quel Lewis Hamilton che ha trasformato l’autostima e la consapevolezza dei propri mezzi in tracotanza, i greci la chiamavano Hybris, è la vanagloria di sentirsi forte come un dio e farli infuriare per davvero, gli dei.
La Mercedes in qualifica sale di manettino, sfodera una cavalleria ineguagliabile, coadiuvata – per carità, va sottolineato – dalla classe smisurata di Carl Lewis Hamilton (mica ti chiami Carl Lewis se non sei un figlio del vento). Ma una vettura così va esaltata, non dimenticata, né ci si può attribuire il merito di avere nel piede sette decimi di secondo. Dall’altra parte c’è invece una Ferrari guidabile, veloce, competitiva e acerba. Proprio così, tanti lati positivi ma una giovinezza tangibile con mano, per una chiusura del cerchio ancora da lì a venire. La SF71H ha un po’ di tutto, ma non è al livello della W09. La Mercedes anche in gara ha fatto il vuoto, con Hamilton che senza il contrattempo causato dalla Haas si sarebbe comodamente involato verso un trionfo sicuro.
Ma su questo ring non possono salire valutazioni tecniche. C’è spazio solo per Vettel e Hamilton. La fortuna aiuta gli audaci e ha messo in prima posizione una Ferrari quantomeno coraggiosa e intelligente nel diversificare la strategia. E’ stato lì che è uscito il fuoriclasse. Il quattro volte campione del mondo del Cavallino si è esaltato, ha ottenuto quello che desiderava già dalle qualifiche, il confronto diretto con l’acerrimo rivale, sicuro di se e spaccone. Rintuzza qua, ribatti lì, chiudi una traiettoria e scappa sul dritto, ed è logica conseguenza che in Hamilton si insinui il dubbio, se nemmeno con la malefica ala mobile spalancata riesci a costruire qualcosa di concreto.
Superiore la Mercedes. Ma quanto? Mentalmente fortissimo Hamilton. Ma quanto? Quanto nervosismo nel toccare tutti quei pulsanti, sbagliando, quanta sofferenza a gestire una monoposto imbizzarrita, capricciosa, improvvisamente – anch’essa – umana, fallace, sguarnita. La grandezza della Ferrari non è aver trionfato da sfavorita a Melbourne, né di aver finalmente dimostrato di poter correre con due piloti alla pari (il fine settimana di Kimi Raikkonen è stato impeccabile). No, la vera impresa è aver insinuato il dubbio nella Mercedes, facendola traballare, scalfendo certezze consolidate e ribaltando valori netti.
Vettel e Hamilton, certo. Ma il vincitore morale del GP di Australia è un pilota che si è ritirato quando era in quinta posizione, Romain Grosjean. In un sport dove la perfezione e la straordinarietà dei gesti tecnici è la normalità, può succedere che un meccanico letteralmente si disperi per un errore umano che è costato un patrimonio – sportivo, economico – al proprio team e forse pure ai propri colleghi di lavoro. Fissare male una ruota è imperdonabile al giorno d’oggi. Ecco perché vale doppio il gesto di un pilota che rincuora con forza quel meccanico, lo abbraccia, gli dice che si perde insieme e che la prossima volta andrà meglio. Dopotutto è sport signori, mica è una guerra. E’ una gomma fissata male su una vettura da corsa, una sciocchezza, il nonnulla cosmico. Già, in Australia ha vinto anche Romain, perché con un gesto semplice, naturale, ha dato la giusta dimensione alle cose. C’è da imparare.
Antonino Rendina
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