Complimenti Nico, benvenuto nel club degli iridati

Dopo la conquista del titolo, Rosberg si sentirà appagato oppure vorrà togliersi altre soddisfazioni?

Complimenti Nico, benvenuto nel club degli iridati

Sono essenzialmente due i sogni nel cassetto di un pilota quando approda in Formula Uno: vincere la prima gara in carriera e laurearsi campione del mondo. Il primo di questi due importanti traguardi Nico Rosberg l’ha centrato il 15 aprile 2012, quando sul tracciato di Shanghai s’impose nel Gran Premio di Cina, riportando la Mercedes sul gradino più alto del podio 57 anni dopo l’ultimo assolo targo Juan Manuel Fangio (GP Italia 1955).

Il secondo invece l’ha concretizzato domenica scorsa, conquistando la prima corona iridata grazie al secondo posto ottenuto nel Gran Premio di Abu Dhabi. Un traguardo duplice per Nico che gli ha permesso non solo di entrare a far parte della ristretta cerchia di piloti iridati (è il 33° nella storia del Circus) ma anche di eguagliare papà Keke, campione nel 1982 a bordo della Williams.

Un trionfo che per la famiglia Rosberg ha il sapore della storia, visto che nella speciale classifica “di padre in figlio” Keke e Nico raggiungono Graham e Damon Hill, unici a vantare questo primato prima dell’affermazione negli Emirati da parte del tedesco della Mercedes.

Naturalmente la massima posta in palio conquistata da Rosberg non può che far felice anche la casa della Stella, che da quando è tornata in Formula Uno, a fine 2009 rilevando la Brawn GP, voleva fortissimamente festeggiare un successo macchina-pilota tutto di matrice teutonica. Un binomio trionfale che nessuno, prima di questa stagione, era riuscito ad ottenere.

Da quando nel 2010 Rosberg è arrivato a Brackley, la Mercedes non gli ha certo reso la vita “facile” affiancandogli piloti di un certo prestigioso e spessore e dal curriculum importante. Dapprima Nico ha dovuto divide il box con Michael Schumacher e successivamente con Lewis Hamilton.

Se col Kaiser (arrivato in Mercedes all’età di 41 anni e oramai già in fase decrescente, lontano parente di quello ammirato in Ferrari) Rosberg è riuscito ad avere la meglio nel triennio 2010-12, non si può dire la stessa con l’avvento di Hamilton alla corte della Stella.

Il talento e la fame (continua) di successi dell’inglese avevano letteralmente “stritolato” Rosberg che si era dovuto accontentare di recitare la parte del comprimario nel primo biennio della Formula Hybrid e anche nel primo anno di convivenza con l’ex pilota della McLaren (2013). Attore non protagonista dei trionfi e dei titoli conquistati da Hamilton. Sembrava di rivedere lo stesso copione verificatosi in Ferrari (Schumacher-Barrichello) e in Red Bull (Vettel-Webber), dove i gregari non riuscivano a tenere il passo delle prime guide.

La musica invece è cambiata in questa stagione. Sarebbe però intellettualmente disonesto etichettare Rosberg con l’appellativo di “pilota fortunato”. Vero, i vari problemi tecnici verificatisi sulla monoposto di Hamilton nel corso del campionato (l’ultimo dei quali in Malesia, dove la power unit della W07 numero 44 è andata letteralmente a fuoco) hanno inciso sull’economia del campionato, ma non bisogna dimenticare che il buon Lewis è stato autore di partenze a singhiozzo (Australia, Bahrain, Monza, Giappone) che lo hanno costretto a gare di rimonta. Dettagli, questi, non certo irrilevanti e che hanno senza dubbio inficiato sull’esito finale del Mondiale.

A premiare Rosberg è stata la costanza di rendimento (su 21 gare stagionali, ha marcato punti in 20) che gli ha permesso di cogliere questa grande occasione concretizzatasi nel corso della stagione. Grazie anche all’intelligenza di sapersi accontentare del “piazzamento sicuro”, che in questi casi diventa un pregio e non un limite, al contrario del pensiero di molti, quando le possibilità di ambire alla massima posta in palio erano ridotte al lumicino. Un pò come l’eroe omerico Ulisse che, per sopperire alla mancanza di forza fisica, utilizzava la sua grande scaltrezza per avere la meglio sui nemici.

Forse l’unico appunto che si può riscontrare a Rosberg è la mancanza di quella giusta dose di “sana malizia”, uno dei tratti distintivi dei grandi campioni, che in alcuni appuntamenti gli è costata delle penalizzazioni. Come avvenuto nei contatti avuti con Hamilton a Zeltweg, con Verstappen ad Hockenheim e infine con Raikkonen a Sepang.

E ora cosa bisognerà aspettarsi da Rosberg? Nella storia ultra sessantenaria della Formula Uno figurano esempi di piloti che dopo il titolo si sono sentiti appagati, considerando la conquista dell’iride un punto di arrivo e non di partenza. Sarà lo stesso per Nico? Oppure il tedesco, sulle ali dell’entusiasmo, vorrà togliersi altre soddisfazioni? Interrogativi a cui solo il tempo potrà dare risposta…

Piero Ladisa 

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