Alberto Ascari: un mito italiano

Alberto Ascari: un mito italiano

È stato sicuramente uno dei piloti italiani che più ha lasciato il segno nel cuore di molti appassionati ed i suoi record sono tutt’oggi imbattuti, tra cui quello di aver vinto il maggior numero di GP vinti consecutivamente a cavallo tra due stagioni: ben 7, record che solo recentemente un’altra leggenda ha saputo raggiungere ma non superare, ovvero Michael Schumacher. Il personaggio in questione è il bi campione del mondo Alberto Ascari.

Nato a Milano il 13 luglio 1918, figlio di Antonio Ascari, pilota professionista, il giovane Alberto segue ben presto le orme del padre che, nel 1925, muore durante una gara in Francia mentre è al comando. Irrequieto a scuola, la sua vita la passa non sui libri ma in mezzo ai motori: comincia con le due ruote, è il 28 giugno 1936, a bordo di una Seturn corre la 24 Ore attraverso l’Alta Italia, la prima vittoria giungerà di lì a poco (4 luglio). Nel 1940 passa alle quattro ruote e corre la Mille Miglia a bordo di una Auto Avio Costruzioni 815 concessagli da Enzo Ferrari, con la quale scatta al comando dovendosi poi ritirare per problemi tecnici. Nel 1942 decide di sposarsi con una giovane ragazza di Milano, da cui avrà due figli, un maschio ed una femmina.

Poi la guerra.

Ascari con il grande amico Villoresi adibisce la sua officina di Milano come officina di riparazioni per autocarri e fornisce petrolio ai mezzi italiani in Nord Africa. Al termine del conflitto lo stesso Villoresi lo “costringerà” a tornare a correre, procurandogli un contratto con la Maserati. E così per due anni si susseguono vittorie a incidenti (il più grave in Brasile, dove riporta la frattura di una scapola e l’incrinatura di due costole); gareggia anche a bordo dell’Alfa Romeo 158 nel GP di Francia a Reims e giunge terzo, ma continua a preferire la casa del tridente dove ,con la 4CLT, nel ’48 ottiene anche la prima vittoria in Formula 1 – non valevole per il campionato – durante il GP di Sanremo. Naturalmente chi non si lascia sfuggire questo grande talento è proprio Enzo Ferrari, che alla fine del ’49 lo mette sotto contratto con la neonata scuderia da lui fondata.

È l’inizio di un grande rapporto. Manco a dirlo il suo compagno di squadra è il grande amico Luigi Villoresi. Nelle prime due stagioni da soltanto un assaggio agli avversari delle sue potenzialità, dopodiché dimostra tutte le sue abilità nelle stagioni 1952 e 1953 portando al trionfo una Ferrari di buon livello ma tecnicamente inferiore alle Alfa Romeo 158/159 che proprio agli inizi del ’52 si sono ritirate dal mondiale mentre il rivale più temuto, Fangio, è costretto ad un riposo forzato in seguito ad un grave incidente in una gara extra-campionato. Dopo aver saltato la gara inaugurale in Svizzera ed essersi ritirato in quella successiva di Indianapolis, Ascari infila ben sei vittorie di fila corredate da sei giri veloci e 5 pole position, ricevendo anche il soprannome di “Maestro del Nürburgring” , essendo questa la sua terza vittoria consecutiva sul tracciato tedesco. Il 1953 regala sicuramente più fatiche al pilota italiano ma molte più emozioni agli spettatori ed a tutti gli appassionati in quanto torna Fangio, rimessosi completamente dopo l’incidente di Monza: il primo GP fu quello d’Argentina dove a “soccombere” è proprio il pilota di casa che deve arrendersi allo strapotere del binomio Ascari – Ferrari. Saltato il secondo incontro di Indianapolis da tutti i team europei, si passa in Olanda dove vince ancora l’italiano mentre Fangio deve ritirarsi per noie al semiasse posteriore. In Germania compie un mezzo miracolo quando, viaggiando in solitaria a 200 km/h perde la ruota anteriore destra: riesce a rientrare ai box dove cambia monoposto e riparte siglando tre giri veloci, tutti 3 secondi sotto il tempo della pole, ma strapazza troppo il motore che alla fine cede costringendolo al ritiro. Unico successo di Fangio quell’anno fu nella gara di Monza, dopo che a pochi giri dal termine Ascari perde il controllo della propria vettura consegnando così il primo posto al rivale, una sorta di ribaltamento delle parti che era cominciato all’inizio della stagione, da cui porta a casa il secondo titolo iridato. Nonostante le molte vittorie con la casa modenese a fine stagione annuncia il proprio passaggio alla Lancia, nuova casa entrante nel mondo della F1, dopo aver rifiutato persino la proposta della Mercedes, intenzionata ad un ritorno in grande stile delle sue frecce argento.

Ma la neonata D50 non è affatto competitiva tanto che, per correre ai ripari, gli viene affidata una Maserati 250F con cui il pilota riesce a partecipare a qualche gara del campionato 1954 e dove utilizza inaspettatamente  una Ferrari 625 nell’ultima prova del campionato, dove conquista la pole ma in gara è costretto al ritiro dopo soli 10 giri. Un anno da dimenticare per il campionissimo.

Il 1955 è l’anno buono per il riscatto, le monoposto Lancia sono pronte ed il trio Ascari-Villoresi-Castellotti pare imbattibile: il duello con le Mercedes e soprattutto con Fangio si accende e divampa. È il 22 maggio 1955. Il duello tra i due piloti sembra infinito e tiene tutti col fiato sospeso, finché l’argentino non rompe il propulsore e così anche il compagno di squadra Moss, mostrando la fragilità – unico punto debole – delle frecce d’argento. A bordo della Lancia Ascari non lo sa ma sta per dirigersi verso la prima vittoria con la casa torinese, fino a quando accade ciò che non ti aspetti: all’81° giro, probabilmente a causa di una perdita d’olio della macchina di Moss, la vettura sbanda e finisce in mare: Ascari viene tirato fuori immediatamente dai tifosi repentinamente accorsi, viene riportato in ospedale dove non gli riscontrano particolari traumi, potendo così tornare a correre senza alcun problema in pochi giorni.

Ma il destino è beffardo con lui, proprio lui, superstizioso fin da ragazzo, correva sempre con la stessa maglietta ed una casco azzurro, si allacciava le scarpe con un preciso ordine e portava sempre con sé un portachiavi ed una madonnina, regalo dei suoi due figli. Quattro giorni dopo l’incidente di Monaco è a Monza per fare qualche giro a bordo di una Ferrari 750 Sport usata da Villoresi e Castellotti, quando in uscita da una curva l’auto si ribalta schiacciando il pilota contro l’asfalto; inutile la corsa all’ospedale, Alberto morirà di lì a breve.

Soprannominato Ciccio dal padre era in verità un grande sportivo e dedicava molto tempo alla forma fisica, stando attento alla propria alimentazione. Molti riconoscimenti sono stati a lui intitolati: la famosa variante del circuito di Monza, un francobollo con la sua faccia ed una monoposto da lui guidata con pubblico festante sullo sfondo viene immesso dalle Poste nel 2005. A Roma gli viene dedicata una via che si unisce simbolicamente a quella di Tazio Nuvolari. Ricorderà di lui Enzo Ferrari:

«Quando guidava, non poteva essere sorpassato tanto facilmente, anzi di fatto era impossibile farlo».

 

Andrea Villa

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