F1 | Hamilton: una gara movimentata sulle montagne russe di Imola

Dopo essere partito dalla pole position, un errore durante un doppiaggio ha cambiato la sua gara, ma l'inglese è stato capace di rimontare fino al secondo posto

F1 | Hamilton: una gara movimentata sulle montagne russe di Imola

La vittoria conquistata in Bahrain rappresentava un buon punto di partenza per Lewis Hamilton e la Mercedes, i quali erano tuttavia consci del fatto che per battere la Red Bull sarebbe stato importante premere sull’acceleratore e risolvere rapidamente i problemi di bilanciamento che affliggevano la W12 sin dai test prestagionali. Un lavoro intenso, che nelle tre settimane di pausa che dividevano i primi due appuntamenti del calendario, aveva visto il team tedesco provare diversi set-up al simulatore, nella speranza che anche dei piccoli miglioramenti potessero fare una grossa differenza nel comportamento della monoposto.

Sforzi che avevano dato segnali incoraggianti ma per cui, chiaramente, bisognava trovare conferme anche. In Bahrain era parso come se la Red Bull potesse contare ancora su un piccolo vantaggio nei confronti della rivale tedesca in particolar modo in qualifica, complice la capacità della RB16B di sfruttare bene le gomme sul giro secco e una Power Unit Honda che si era dimostrata estremamente competitiva, senza evidenziare quei fastidiosi problemi di clipping della W12 che un circuito impegnativo come quello di Sakhir aveva messo a nudo. Era quindi importante trarre il massimo da ogni occasione che si sarebbe presentata davanti e, in questo, Hamilton non aveva deluso nemmeno nel sabato imolese, mettendo insieme un giro che gli aveva permesso di conquistare la pole position: per quanto la monoposto di Milton Keynes sembrasse avere ancora qualcosa in più, fermata solo da piccoli – ma importanti – errori dei propri piloti, riuscire a mettersi alle spalle i rivali rappresentava un buon inizio per il sette volte campione del mondo. Mantenere la posizione, però, non sarebbe stato altrettanto semplice e di questo Hamilton ne era consapevole. Se a Sakhir era stata la Mercedes ad avere la possibilità di giocare a due punte, a Imola questa chance l’avrebbe avuta la Red Bull, capace di garantirsi comunque il secondo e il terzo posto in griglia di partenza.

L’arrivo della pioggia prima dell’inizio della corsa non aveva fatto altro che aggiungere ulteriori variabili ad un Gran Premio che già di per sé prometteva di regalare emozioni, per cui sarebbe stato fondamentale osservare da vicino tutte le mosse degli avversari, in modo da comprenderne l’efficacia sulla breve e lunga distanza. Uno scatto al via non particolarmente brillante aveva tuttavia complicato la gara già dopo i primissimi metri, lasciando spazio a Verstappen di portare un attacco in curva due. Andando ad osservare alla partenza, infatti, è possibile notare come allo spegnimento dei semafori Hamilton si fosse concentrato soprattutto (come evidenziato dal movimento della testa verso destra) sul tenere d’occhio colui che lo affiancava in prima fila, Sergio Perez, lasciando in secondo piano l’olandese alle proprie spalle. Una scelta comprensibile considerando non solo che il messicano rappresentasse la minaccia più temibile nell’immediato, ma anche che Lewis non avesse lasciato molto spazio sulla propria sinistra. Un pertugio comunque sufficiente da permettere a Verstappen di portare l’attacco, poi giunto alla prima chicane. Nonostante Lewis avesse tentato di resistere, con un’abile mossa d’esperienza l’olandese aveva accompagnato il rivale all’esterno, arrivando però al contatto: ciò aveva provocato il cedimento del footplate dell’ala anteriore sulla monoposto numero 44, con un danno che secondo i calcoli Mercedes sarebbe valso intorno ai due/tre decimi per passaggio: “Inizialmente il danno era abbastanza importante, perché il footplate non si era completamente staccato. Era rimasto attaccato grazie ai sensori che utilizziamo per misurare le prestazioni aerodinamiche in quella zona della vettura. E mentre continuava a muoversi, ciò causava un danno di circa sei decimi al giro. Fortunatamente, dopo pochi giri, quel pezzo si era staccato, riducendo l’entitità del danno. Da quello che vedevamo dai dati, si trattava di una perdita di due/tre decimi al giro. Fortunatamente, quello era l’unico problema che aveva accusato”, ha spiegato Andrew Shovlin, Trackside Engineering Director dopo la gara.

L’entrata della Safety Car dovuta all’incidente di Nicholas Latifi nel corso del primo giro aveva dato un’altra chance all’inglese di riprendersi il primo posto. Nonostante Lewis avesse cercato di farsi trovare pronto al momento della ripartenza, Verstappen era riuscito a gestire quella fase in maniera eccellente, limitando le possibilità di sfruttare la scia e proteggendo l’interno alla prima staccata. Elementi che lo avevano posto in una situazione di vantaggio, anche per il solo fatto di avere una visuale pulita senza l’acqua che si alzava dal posteriore delle vetture. Una situazione sfruttata nel migliore dei modi, perché nello spazio di pochi passaggi il pilota della Red Bull era già riuscito a mettere tra sé e Hamilton un distacco di circa cinque secondi, dimostrando una confidenza impareggiabile con la monoposto e le condizioni del tracciato. Indubbiamente a dare una mano era stata anche la capacità della RB16B di portare rapidamente in temperatura gli pneumatici, ma quello non era stato l’unico elemento che aveva consentito all’olandese di prendere immediatamente il largo. Osservando sia gli onboard che le rispettive telemetrie, era infatti possibile notare come Verstappen avesse optato per linee differenti, più remunerative sul bagnato, associandole ad un diverso utilizzo dell’acceleratore, di cui avevamo parlato approfonditamente in un articolo dedicato. Tutto ciò senza contare che, quantomeno inizialmente, Lewis era stato anche costretto a difendersi da un arrembante Leclerc, il quale aveva tentato di farsi vedere negli specchietti in più occasioni. Con il proseguire dei giri, anche grazie ad un cambio di interpretazione nella traiettoria di alcune curve e una maggior confidenza con gli pneumatici, i quali stavano iniziando a lavorare nella corretta finestra di funzionamento, Hamilton aveva acquisto maggior familiarità con le condizioni del tracciato, riuscendo a portarsi su tempi molto simili a quelli del battistrada. Sfortunatamente, tuttavia, il distacco accumulato in quelle prime fasi di gara superava già i cinque secondi e ricucirlo non sarebbe stata impresa semplice. I tratti della pista in cui l’inglese riscontrava maggiori difficoltà erano tra la fine del secondo settore e l’inizio del terzo intertempo, in particolar modo nell’uscita di curva dodici e nell’inserimento di curva 14, dove cercava di essere più cauto in modo da essere meno aggressivo sui cordoli.

Per la maggior parte del primo stint di gara, il gap tra i due si era mantenuto stabile tra i cinque e i sei secondi, in attesa di capire quando e quale sarebbe stato il momento ideale per effettuare il passaggio sulle gomme slick su una pista che si stava progressivamente asciugando. Ben consapevoli che quella avrebbe potuto essere l’occasione più importante per sovvertire le sorti della corsa, il casa Mercedes gli aggiornamenti via radio per essere informati in merito alle condizioni del tracciato erano stati molteplici. Non si trattava di una situazione semplice da interpretare, perché intorno al ventesimo passaggio l’asfalto si trovava in una condizione di misto asciutto-bagnato e chiaramente nessuno dei piloti voleva prendersi un rischio che avrebbe potuto compromettere in maniera irreparabile la gara, tanto che lo stesso sette volte campione del mondo aveva indicato come la pista non avesse raggiunto il punto di crossover. È importante tenere a mente anche come gli pneumatici giocassero un ruolo estremamente importante, soprattutto in termini di feeling per il pilota: con la pista che si stava progressivamente asciugato, le gomme intermedie avevano iniziato a deteriorarsi, presentando una situazione simile a quella che si era riscontrata in Turchia l’anno passato, dove una volta consumato il disegno le coperture si erano trasformate in una sorta di semi-slick. Non era un caso che, dopo aver inizialmente evidenziato alcune difficoltà in fase di trazione che avevano portato ad un aumento dei tempi, lo stesso pilota inglese avesse riportato via radio come stesse riscontrato un maggior grip, garantendogli l’opportunità di incrementare nuovamente il ritmo ed avere una maggior confidenza con la vettura. Ciò che era difficile prevedere, tuttavia, era l’impatto che i doppiati avrebbero avuto nella sua rincorsa. A soffrirne maggiormente era stato Verstappen, il quale, cercando di districarsi tra il traffico, aveva perso quasi la metà di quanto era riuscito a costruirsi nella prima parte della corsa. Meglio era andata a Hamilton, su cui l’impatto del traffico, seppur importante, si era fatto sentire in maniera minore, riuscendo ad effettuare i sorpassi in punti più congeniali del tracciato. Indubbiamente non si poteva trascurare il fatto che Max da qualche giro avesse iniziato ad accusare problemi agli pneumatici, in particolare quelli anteriori, ma a fare la differenza erano stati soprattutto i doppiati, i quali avevano permesso all’inglese di riavvicinarsi in maniera evidente. A quel punto, conscio che un sorpasso in pista sarebbe stato complicato da portare a termine data la ridotta differenza di passo tra i due, riuscire ad individuare il momento giusto in cui effettuare la sosta e passare sugli pneumatici slick sarebbe stato fondamentale. Da questo punto di vista, quantomeno inizialmente, Hamilton si trovava in una sorta di limbo: da una parte la distanza tra i due non era sufficiente per pensare di tentare un undercut, dall’altra Lewis non disponeva di un vantaggio sufficiente per effettuare il pit stop ed uscire davanti a Sergio Perez, il quale avrebbe potuto rappresentare un ostacolo importante nella sua rincorsa. Una finestra che si era aperta solo verso la fine del ventiseiesimo passaggio, quando il vantaggio sul messicano della Red Bull aveva ormai superato quello richiesto per la pit window e, contemporaneamente, il distacco con Verstappen era scesa sotto i due secondi. Consci di essere potenzialmente esposti ad un attacco, la Red Bull aveva agito prontamente, richiamando ai box l’olandese per montare un nuovo set di gomme medie. A quel punto l’unica speranza per la squadra anglo-tedesca era quella di tentare un overcut, che potenzialmente avrebbe anche potuto funzionare in termini pratici, ma di cui poi se ne sarebbero pagate le conseguenze nel giro immediatamente successivo, quando la differenza di temperatura nelle coperture avrebbe permesso a Verstappen di effettuare un facile sorpasso. Hamilton aveva dato tutto sé stesso, segnando intertempi estremamente rapidi e, senza il problema al pit stop nello smontaggio dell’anteriore destra, probabilmente avrebbe avuto anche una minima opportunità di uscire davanti, essendo comunque al limite della pit window: ammesso e non concesso che ciò potesse funzionare, sarebbe stato comunque molto complicato riuscire a mantenere l’olandese alle proprie spalle. Basti pensare che nel giro d’uscita successivo al pit stop, Hamilton sulla linea del traguardo aveva già accumulato un distacco di quasi sei secondi, rispetto ai due che accusava nel momento del rientro in pista, a dimostrazione di come quel giro in più di warm-up potesse fare la differenza.

Persa quell’opportunità, anche se al muretto Mercedes si poteva recriminare poco dato il ridotto margine di manovra, l’unica speranza era quella di riuscire ad effettuare il sorpasso in pista. Prima ancora, però, sarebbe stato necessario riuscire a chiudere nuovamente quel gap che si era venuto a creare. Un’opportunità che si era creata solo qualche giro più tardi, quando una lunga fila di doppiati aveva costretto entrambi i due battistrada ad alzare il ritmo: una chance ma allo stesso tempo una condanna, perché nel tentativo di superare una Williams, Hamilton aveva perso il controllo della vettura, finendo nella ghiaia.

Un errore di per sé comprensibile, occorso perché era passato su una zona ancora bagnata, ma forse dettato dalla foga, da quella voglia di non lasciare neanche un centesimo di secondo che questa volta ha rappresentato la fine della rincorsa. Un errore che non solo sembrava aver messo fuori gioco l’inglese dal discorso vittoria, ma che avrebbe potuto escluderlo dalla corsa. Nel tentativo di tornare immediatamente in pista sfruttando la linea d’asfalto posta accanto alla barriere, Lewis aveva tentato di girarsi, finendo tuttavia contro il muretto e danneggiando l’ala anteriore. Non vi era abbastanza spazio per effettuare quella manovra, ma valeva la pena tentare, non solo perché gli avrebbe permesso di risparmiare del tempo, ma anche perché così non avrebbe rischiato di rimanere insabbiato. A quel punto, l’unica alternativa era la retromarcia, la quale non si era inserita al primo tentativo, costringendo così l’inglese a perdere ulteriori preziosi secondi. Una volta ultimata la procedura, il sette volte campione del mondo aveva cercato rapidamente di districarsi, ritornando in pista in retromarcia. Una manovra che aveva generato scalpore e qualche protesta, ritenendola una mossa pericolosa, quindi passibile di penalizzazione. Osservando il regolamento sportivo, tuttavia, è semplice notare come nessuna regola vieti espressamente di effettuare il ritorno in pista in retromarcia: l’importante è che il tutto sia effettuato in sicurezza, senza arrecare danno agli avversari e, da questo punto di vista, non vi era nulla che si potesse rimproverare al portacolori della Mercedes. Hamilton era infatti tornato in pista nei 5 secondi di gap che dividevano Pierre Gasly e Sebastian Vettel, facendolo oltretutto fuori traiettoria e guidato costantemente via radio dal proprio box, come visibile dall’onboard camera del tedesco dell’Aston Martin. Sebbene si potesse opinare sul fatto che la pista fosse scivolosa e che, per questo, un pilota avrebbe potuto commettere un errore finendo contro l’inglese, anche in quella specifica situazione ben poco si sarebbe potuto rimproverare al pilota di Stevenage, perché sarebbe stato compito di chi sopraggiungeva rallentare e rispettare le bandiere gialle esposte, in modo da evitare ulteriori incidenti, soprattutto considerando che quest’ultimo si trovava fuori traiettoria. Date quindi le tempistiche e le modalità, seppur si trattasse di una manovra inusuale, vi era poco che si potesse recriminare contro le azioni di Hamilton, che oltretutto non avrebbe potuto far altro che continuare a muoversi per non rischiare di rimanere bloccato nella ghiaia. “Ascoltando alle conversazioni radio tra Lewis e il team gli ingegneri gli stavano fornendo informazioni costanti quindi, in quella particolare circostanza, non ritenevo fosse utile riportarlo agli steward”, ha poi dichiarato il direttore di gara, Michael Masi.

A causa del tempo perso fuori pista e al pit stop, dove era stato costretto a sostituire l’ala anteriore, fattore che gli aveva anche permesso di riparare quel danno che lo aveva penalizzato sin da inizio gara, l’alfiere della squadra di Stoccarda si era ritrovato ai margini della zona punti, ad oltre un giro di distanza dal battistrada. A giungere in suo soccorso era stata l’esposizione della bandiera rossa, dovuta al brutto incidente che aveva visti coinvolti il suo compagno di squadra, Valtteri Bottas, e uno dei due alfieri della Williams, George Russell. Ciò aveva consentito a Hamilton di ricompattarsi con il gruppo ed iniziare così la sua rimonta per tornare quantomeno sul podio e limitare i danni di una giornata che, fino a pochi minuti prima, sembrava essersi indirizzata sui giusti binari. Grazie al testacoda di Kimi Raikkonen durante il giro di formazione, Lewis aveva già recuperato una posizione ancor prima della ripartenza, che in realtà avrebbe momentaneamente perso solo qualche metro più tardi, quando un arrembante Yuki Tsunoda era andato all’attacco in curva due, portandosi davanti all’inglese. Sfortunatamente per il giapponese, un’apertura del gas troppo repentina lo aveva mandato in testacoda, restituendo di fatto la posizione ad Hamilton, che in questo modo si era portato in ottava posizione. Sfruttando l’ala mobile, il portacolori della Mercedes era riuscito rapidamente a sbarazzarsi di diversi avversari, grazie anche ad una bellissima manovra in curva due, dove frenando all’ultimo secondo sulla parte più sporca aveva sopravanzato Lance Stroll. Un ritmo invidiabile, il più veloce in pista, che testimoniava non solo la voglia dell’inglese di riportarsi rapidamente nelle prime posizioni, ma anche quello a cui si sarebbe potuto assistere senza l’errore.

Nello spazio di poche tornate, il pilota di Stevenage era riuscito a riportarsi alla ruota di Sainz, cercando immediatamente l’attacco sul lungo rettilineo. Un sorpasso che, dopo un primo tentativo a vuoto, era arrivato nel corso del cinquantesimo passaggio, traendo massimo vantaggio dall’utilizzo del DRS. Se fino a quel momento l’ala mobile aveva rappresentato uno strumento importante nella sua rimonta, tuttavia lo stesso non lo si poteva dire per le fasi successive, in particolare quando si trovava alle spalle di Charles Leclerc. Nel corso di tutto il fine settimana, la Ferrari non aveva mostrato grandi velocità di punta e la scelta di puntare su un assetto più carico in vista della corsa non aveva fatto altro che penalizzare ulteriormente questo aspetto: l’unica possibilità era quella di riuscire a mantenersi sotto il secondo di distacco da chi lo precedeva, massimizzare l’uscita dalla Rivazza e sfruttare sia l’ala mobile che la scia per resistere agli attacchi. Una possibilità su cui, in precedenza, Sainz non aveva potuto contare, ma che nel caso di Leclerc si era rivelata un’arma da non sottovalutare. Dopo essere riuscito rapidamente a riportarsi alle sue spalle segnando intertempi record, Hamilton era quindi entrato in una fase di stallo: nonostante fosse molto vicino, non lo era abbastanza per tentare concretamente un attacco sul Ferrarista che, a sua volta, era abile a sfruttare il vantaggio del DRS per mantenere la posizione. La svolta sarebbe arrivata solamente qualche tornata più tardi quando, dopo un piccolo errore alla Variante Alta, il monegasco aveva perso contatto rispetto a chi gli stava davanti, dando così campo libero all’inglese di tentare il sorpasso. Un’opportunità che non si era lasciato sfuggire, sfruttando a dovere gli strumenti a propria disposizione per riuscire a riportarsi in una posizione utile per salire sul podio.

La rimonta, però, non era ancora completa e, nonostante pensare di riagguantare Verstappen fosse impossibile, il secondo posto era a portata di mano, solamente pochi secondi più avanti. Un gap che, anche in questo caso, Hamilton era stato in grado di chiudere rapidamente, ma che non garantiva un sorpasso altrettanto semplice. Così come si era potuto apprezzare in Bahrain, anche a Imola la MCL35M aveva denotato velocità di punta estremamente alte, il che la rendevano un avversario temibile sui lunghi rettilinei: oltretutto, in uscita dalla Rivazza Norris riusciva ad avere sempre un piccolo – ma prezioso – vantaggio che gli garantiva quei pochi metri in più utili per riuscire a mantenere la posizione. Una storia che si era ripetuta per ben tre occasioni, fino a quando, riuscendo a rimanere più vicino, Hamilton era riuscito a sfruttare al massimo l’effetto della scia e del DRS, completando l’attacco con una velocità sul rettilineo principale più alta di quasi 35km/h rispetto al rivale della McLaren. Una differenza enorme, che aveva anche permesso ad Hamilton di ottenere quei decimi utili per ottenere il giro veloce segnando un tempo inarrivabile.

Per quanto il secondo posto possa essere visto come un buon risultato considerando come si era evoluta la corsa, probabilmente non può non rimanere il rammarico per quell’errore verso metà gara durante il doppiaggio di Russell e per il non essere riuscito a sfruttare adeguatamente la pole position. La sfida con Verstappen per il successo di tappa era senza dubbio aperta e, nonostante si trattasse di un duello difficile da vincere dato il passo relativamente simile tra loro, la vittoria non del tutto fuori portata, soprattutto se verso il finale l’olandese avesse accusato un calo degli pneumatici. Al di là di questi elementi, il pilota della Mercedes esce dall’appuntamento italiano comunque in testa al mondiale, grazie al punto conquistato per il giro più rapido della corsa. I prossimi Gran Premi diranno molto sulle ambizioni mondiali di una W12 in costante crescita, che dopo il GP del Bahrain ha già mostrato dei piccoli – ma significativi – passi in avanti. Una vettura che fondamentalmente non presenta importanti punti deboli, ma in un contesto così competitivo anche delle piccole mancanze possono fare la differenza. Come ha dichiarato dai piloti stessi, l’ultima nata di Stoccarda era stata pensata per essere più gentile sugli pneumatici, un fattore che potrebbe aver tolto qualcosa in termini di warm-up penalizzandola soprattutto in qualifica. Allo stesso tempo, quei problemi di bilanciamento del posteriore che si erano accusati sin dal test del Bahrain non sono stati ancora del tutto risolti, ma grazie ad un inteso lavoro al simulatore, sono stati in parte attenuati. La RB16B, al contempo, si è dimostrata una vettura competitiva in tutti i settori, grazie anche ad una Power Unit Honda che sembra aver fatto un passo in avanti importante, tanto che sia a Sakhir che ad Imola, la differenza in termini di velocità sui rettilinei era evidente. Si tratterà di una bella sfida, in cui lo sviluppo durante la stagione potrebbe essere la vera chiave per il successo.

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