Pagelle del Gran Premio del Canada

Sproloqui e valutazioni illogiche direttamente dall'Ile de Notre Dame

Pagelle del Gran Premio del Canada

Settima gara, settimo vincitore, e sull’Ile de Notre Dame -col senno di poi ci si poteva anche arrivare- non poteva che trionfare Lewis Hamilton, che da queste parti ottenne il primo successo in carriera nel lontano 2007. Dietro di lui un podio tanto inconsueto quanto impronosticabile, formato dalla Lotus di Grosjean e dalla Sauber di Pérez. In affanno Alonso e Vettel, che pagano un azzardo strategico e perdono terreno nelle ultimissime fasi di gara. Non pervenuto il trionfatore dell’edizione 2011, Jenson Button. Buona lettura!

Sebastian Vettel: 6 – Partiamo da questo presupposto: chi è in macchina ha -DEVE avere- il polso della situazione. Perché è lui che materialmente gira il volante, spinge i pedali, ha il culo sul sedile. Ed è quindi lui che deve avere le palle di dire, ai suoi ingegneri «Basta stronzate. Le gomme sono finite. Ne voglio di nuove». Perché alla fine, seppur nell’epoca del «Son contento per la squadra, la squadra ha fatto un ottimo lavoro» e balle varie di questo tipo, è il pilota che guida. Decidere di tirar dritto è un azzardo, ok. Ma un azzardo che non paga. Un errore. Del muretto? Forse. Ma se chi guida non sa imporsi sbaglia anche e soprattutto lui. E per questo andrebbe bocciato. Poi errare è umano, perseverare diabolico. E dopo che Hamilton lo svernicia Seb si ferma, monta gomme fresche, inizia a girare come un ossesso, riprende e supera anche Alonso. A testimonianza che fesso fesso non è. Si merita la sufficienza solo per questo. To finish first, first you have to finish. Per arrivare primo, prima devi finir la gara, dicono gli inglesi. Che appunto termina sotto la bandiera a scacchi, non prima. Sgommato #1.

Mark Webber: 5 – Non ci ha capito granché. La cosa buffa è che quando la Red Bull è in difficoltà lui si esalta. Quando la vettura mette le aaali lui striscia carponi. Boh. In qualifica soffre il compagno, artigliando il quarto posto in extremis. In gara non è mai efficace. Scivola indietro un po’ per via della strategia non ottimale un po’ perché nel traffico non riesce a trovare il guizzo per passare vetture più lente. L’unico numero lo regala al via quando resiste in maniera ruvida a Rosberg. Poi per il resto è opaco, impreciso -vedi il lungo alla chicane al giro numero 39- e tutto sommato poco consistente. Raccoglie comunque punti, chiudendo settimo, staccato, ma nemmeno troppo triste. Certo che si è visto poco, molto poco. Un passo indietro deciso rispetto a Montecarlo, pur tra i muretti anche qui. Evanescente.

Jenson Button: 4 – Se Webber non ci ha capito granché, JB ha fatto scena muta. Come trovarsi a un meeting sulla fusione nucleare a freddo senza avere nemmeno la quinta elementare. Certo, Montreal è la pista di Lewis, ma Jenson qui l’anno scorso aveva trionfato al termine di una gara incredibile. Oggi forse soffre scelte tecniche che più si adattano allo stile di guida del compagno. Macchina più rigida, da buttar dentro in curva brutalmente. E non ci si raccapezza. E’ lento, per sua setssa ammissione gira a un secondo e mezzo dai migliori, perdipiù grattugia le Pirelli peggio degli altri. E, oltretutto, ammette di non sapere perché non sente la macchina e perché non riesce a tenere il ritmo degli altri top driver. Crisi di assetti, psicologica, tecnica, non lo sappiamo. Ma certo che oramai è lecito parlare di un caso Button a Woking. Né più né meno di come si era parlato di un caso Massa a inizio stagione in Ferrari. Di chi sia la colpa, se della squadra o del pilota, non sta a noi dirlo. Però qualcosa che non va c’è, di brutto. Confuso.

Lewis Hamilton: 10 – E’ la sua pista, poche chiacchiere. E nella fase cruciale della gara si trova nella situazione che predilige, quella in cui -a parità di condizioni- è probabilmente il più forte di tutti. Spingere, a tutta, senza pensare a niente. Velocità pura. Senza compromessi. I dieci giri che ci mette a riprendere la coppia di testa sono un esercizio di stile, una dimostrazione di forza atta a far vedere che lui c’è ancora, eccome. Favorito dalle gomme, ma con la pressione di dover andare a un ritmo da qualifica senza potersi permettere il minimo errore. La condizione che preferisce, appunto. Come un purosangue che, dopo aver morso il freno, può finalmente lanciarsi al galoppo. Da rimarcare anche la cattiveria con cui si prende il primo posto dopo la sosta di Alonso, con un piglio da do or die. Resta il cronico problema delle soste ai box, lì siamo oramai alla barzelletta. Ma va bene, benissimo così. Anche perché in un colpo solo ritrova vittoria, sorriso e leadership del mondiale. E scusate se è poco. Fulmine.

Fernando Alonso: 5,5 – O lettore, sì, dico a te. A te che stai urlando maledizioni verso il pagellista dopo aver visto il voto di Fernando. Sì, dico a te. Liberissimo di dissentire, ci mancherebbe altro. Ma prima almeno leggi quanto il sottoscritto ha scritto a proposito di Sebastian Vettel. E se tu, lettore, accecato dall’ira non vuoi risalire in cima alla pagina, segue una specie di copia/incolla. “Chi è in macchina ha -DEVE avere- il polso della situazione. Perché è lui che materialmente gira il volante, spinge i pedali, ha il culo sul sedile. Ed è quindi lui che deve avere le palle di dire, ai suoi ingegneri «Basta stronzate. Le gomme sono finite. Ne voglio di nuove». Perché alla fine, seppur nell’epoca del «Son contento per la squadra, la squadra ha fatto un ottimo lavoro» e balle varie di questo tipo, è il pilota che guida. Decidere di tirar dritto è un azzardo, ok. Ma un azzardo che non paga. Un errore. Del muretto? Forse. Ma se chi guida non sa imporsi sbaglia anche e soprattutto anche lui”. Fine. Anche e soprattutto alla luce di quanto dichiarato dal principe delle Asturie a fine gara, l’insufficienza è obbligatoria. E siccome -anche qui riporto- errare è umano, ma perseverare è diabolico, il non essersi fermato nemmeno più tardi, e quindi l’aver perso la posizione anche da Vettel, vale a lui e alla squadra l’insufficienza. Equamente ripartita. Ok, voleva/no vincere. Ha/nno sbagliato. Sgommato #2.

Felipe Massa: 5 – Ci piace così. Lo preferiamo lottare, attaccare, sbagliare e rimboccarsi le maniche piuttosto che fare la comparsa incolore. In Canada avrebbe voglia di spaccare il mondo, e si vede. Si vede dalle uscite di curva grintose e in sbandata, dalla cattiveria con cui si libera di Rosberg a inizio gara, dal giro più veloce provvisorio che realizza alla tornata numero 65. E anche, perché no, dal testacoda alla prima curva che lo spedisce dalla quinta alla dodicesima posizione nelle prime fasi di gara. Che è grave, gravissimo, gli distrugge le gomme, gli rovina la strategia e penalizza fortemente il risultato, ma che denota voglia di fare, di attaccare, di provarci. E’ un bell’inizio, anzi una conferma dopo la buona forma messa in mostra a Monaco. Non merita la sufficienza per l’errore, ma -spero capiate quello che intendiamo- l’attitudine è corretta. Meglio pasticcione che apatico. Paperino.

Michael Schumacher: sv – Cos’altro si può dire? No, seriamente, se vi viene in mente qualcosa fatecelo sapere, perché noi le parole le abbiamo finite. A rigor di logica sarebbe da bocciare, perché per tutto il fine settimana subisce il pur non irresistibile compagno di squadra, ma quello che gli capita in gara ha dell’incredibile. I meccanici che prendono a martellate il suo DRS, che ci si siedono sopra, che provano a piegarlo giù in quattro… sono un’immagine pittoresca, d’altri tempi, ma della quale il vecchio Michael avrebbe fatto volentieri a meno. A fine gara il Crucco si produce in un capolavoro dialettico che recita, più o meno «Appiamo Krante Fortuna. Zi rompe zolo mia makkina. Altra makkina fa punti. Qvesto è buono per squatra». No, oggettivamente, come fai a bocciarlo, anche se forse lo meriterebbe? Eroe.

Nico Rosberg: 6,5 – Gara bislacca, la sua, a fiammate. All’inizio è in grande difficoltà, dopo nove giri gli dicono addirittura di risparmiare benzina, nemmeno dovesse pagarla Ross Brawn di tasca sua. Poi da un certo punto in poi inizia ad andare come un fulmine, si libera di Räikkönen, attacca Massa, taglia la chicane, Perez lo frega ma lui si vendica su Massa poche curve dopo. E alla fine va come un treno e chiude negli scarichi di Alonso: con due curve in più forse l’avrebbe anche passato. Non ci ha impressionato particolarmente soprattutto per l’incostanza mostrata nel corso della gara. Figlia certo di queste gomme che hanno un range di utilizzo sottile come un crine di cavallo. Ma con prestazioni così serrate la differenza la fa anche questo, no? Poi certo, vedi quello che è accaduto a Michael Schumacher e pensi che potrebbe andargli molto, molto peggio. Per cui sei e mezzo e a casa. Anzi, a Valencia. Altalenante.

Kimi Räikkönen: 5 – Ecco un altro che non ci ha capito chissà quanto, di questo weekend. E dire che quantomeno il pagellista se lo aspettava in palla, a Montreal. E invece no. Problemi al differenziale durante le libere, di bilanciamento in qualifica e di traffico in gara condizionano la sua prestazione. Ma soprattutto è la velocità, ad essere insufficiente, per chi vorrebbe puntare a vincerla, la gara. L’unico sussulto d’orgoglio ce l’ha quando riesce a passare Button in piena crisi di gomme. Poi però viene inquadrato solo quando in sequenza viene infilato da Rosberg e da Perez, che gli esce dai box proprio davanti. Manca forse di lucidità, di brillantezza, forse anche di grinta. Speriamo non si sia già stufato, non sarebbe carino da parte sua. Nei confronti della squadra e dei tifosi. Alla fine raccoglie lo stesso qualche punto ma chiude ottavo, ben dietro al giovane compagno di squadra. Opaco.

Romain Grosjean: 9 – Questo campionato è pazzo sul serio. Pazzo perché un giorno sei Leone, il giorno dopo Coglione, il giorno dopo ancora torni Leone, e così via. Prendete Romain. A inizio campionato non riesce a uscire indenne dai primi giri nemmeno a morire. Poi in Bahrain si inventa un terzo posto brillante e insperato. A Monaco fa una vaccata pazzesca dopo 300 metri dal semaforo verde. E qui, sull’Isola di Notre Dame, arriva addirittura secondo. Compiendo qualcosa come 49 giri con le gomme soft. Con la stessa strategia che ha fatto sprofondare Alonso e Vettel. Chi ci capisce qualcosa è bravo. Anzi, è il Benvenuto. Tecnicamente la sua gara non sarebbe affatto straordinaria, fino a una quindicina di giri dalla fine. Poi davanti a lui in molti si fermano. Quelli che non pittano [ma quanto è ggiòvane lo slang di Alonso???] iniziano a rallentare. Lui né l’una né l’altra: prosegue e va come un treno. Alla fine assieme ad Hamilton è il più veloce in pista. Raggiunge Alonso e lo svernicia di netto. E complice gli ultimi giri-passerella di Hamilton arriva ad appena due secondi e mezzo dal vincitore. 49 giri con le soft, ripetiamo. Roba da matti, appunto. Facciam fatica a capire, ma giù il cappello. Perché una gara così, ahivoi, per quanto incomprensibile è tanta roba. Misterioso.

Paul di Resta: 6 – Il rovescio della medaglia di piloti che risalgono posizioni nelle ultime fasi di gara ha la faccia triste e un po’ allampanata della coppia Force India. Paul, nello specifico, è quello che ha di più da recriminare, perché parte più avanti, scatta bene allo spegnimento dei semafori, riesce anche a passare Rosberg nei primi giri e poi, pur rallentando, mantiene un buon piazzamento fino al primo pit stop. Da lì iniziano i dolori. Con le soft il ritmo cala, il degrado cresce, e il distacco aumenta. Deve anticipare così la seconda sosta e questo, alla fine della fiera, gli costerà tempo prezioso e soprattutto posizioni al traguardo. Chiuderà infatti subito ai margini della zona punti, undicesimo, con qualcosa da recriminare. Vale comunque la sufficienza perché in ultima analisi fa una figura migliore rispetto al compagno di squadra, non commette errori ed è più che altro vittima del degrado e delle circostanze. Innocente [fino a prova contraria].

Nico Hülkenberg: 5 – Alla fine, con molta onestà, ammette «In ultima analisi, quello che ci è mancato oggi è stata la velocità». Carino da parte sua non prendersela con il degrado delle gomme, con Marte in Saturno [contro, peraltro], con l’Ascendente Discendente o con il callo dolorante che segnala un cambiamento meteorologico e che nel contempo gli impedisce di spingere il pedale del gas al massimo. Succede anche ai supereroi: l’incredibile Hülkenberg stavolta si dimostra più umano che mai, subendo il ritmo e la velocità di di Resta per tutto il fine settimana. Paradossalmente il momento in cui gli è più vicono è proprio sotto la bandiera a scacchi, quando i due arrivano separati da appena otto secondi. Ma non maschera un weekend tutto sommato insufficiente, a partire dalla qualifica. In gara non viene praticamente mai inquadrato. Un motivo ci sarà, voi che dite? E’ andata così, pazienza. Ectoplasmico.

Kamui Kobayashi: 6 – Parte undicesimo, chiude nono. Questo è bene. Dovrebbe fermarsi due volte, il muretto gli cambia strategia vedendo che con una sola sosta si sarebbe guadagnato tempo. Anche questo è bene. Non fa errori, inscena un bel duello con Michael Schumacher dal quale esce vincente, e alla fine raccoglie qualche punto buonissimo per la classifica. E anche questo è bene. Tutto bene, insomma, se non fosse che il suo vicino di box finisce addirittura sul podio dopo una gara sensazionale. Che oscura quanto di buono fatto dal piccolo Kamui. La sua gara non è negativa, intendiamoci, ed infatti non gli neghiamo la sufficienza. Anche perché penalizzato in un paio di fasi dal traffico e da vetture più lente e difficili da sorpassare. Ma sarebbe stato lecito aspettarsi di più, dal punto di vista della grinta, dell’azzardo, della voglia di risalire. Di più rispetto alla gara da ragioniere proposta dal Jap di scuola Toyota, che ci ha abituati a ben altri approcci guerreschi. Ma in questa valutazione -ripetiamo- siamo per forza di cose condizionati dalla sensazionale gara di Pérez. Che ridimensiona voto e prestazione di Kamui. Bastonato.

Sergio Pérez: 9,5 – E’ un po’ come al circo, dove ogni artista ha il suo numero, quello che lo rende celebre e per il quale tutti vengono ad ammirarlo. Quello di Sergio -mostrato, se ve lo ricordate, anche all’esordio in F1 nel Gran Premio d’Australia dello scorso anno- è l’Allungamento acrobatico dello Stint. Che porta al pit stop singolo. Un numero che al messicano riesce bene con molta frequenza. E un motivo ci sarà. Parte quindicesimo, non ha nulla da perdere, lascia che la gara gli venga incontro e nella seconda parte della corsa si scatena. Quando gli altri rallentano lui mette le ali -anche senza Red Bull- e passa in tromba Rosberg, Massa e Alonso a velocità praticamente doppia. Artigliando un terzo posto, a cinque secondi dal leader, più che da applausi. Il talento c’è, inutile negarlo. Che sia ancora da sgrezzare anche, il confine tra fenomeno e pasticcione è ancora molto labile. Ma quando le cose filano come dovrebbero Sergio ci fa divertire. Con il Numero di cui sopra. Del resto tra circo e Circus, visto anche l’andamento pazzo e folle di questo mondiale, la differenza è veramente poca. Acrobatico.

Daniel Ricciardo: 6 – «Non è che se a una barca ci metti le ali diventa un aeroplano» [cit.]. Così l’impagabile Corrado Guzzanti imitava Antonio DI Pietro qualche anno fa, scimmiottando il suo uso esasperato di metafore contadine. E non è che se a una Toro Rosso ci metti le aaali diventa una Red Bull, aggiungiamo noi. A Montreal, soprattutto. Daniel ci prova, a fare il compitino, si qualifica anche bene, poi però vanifica tutto con una partenza tra il maldestro e lo sfortunato, nella quale infila il pertugio sbagliato e gli fa perdere posizioni. Corre di conserva -ah, Poltronieri, come ci manchi…- con il compagno di squadra per una bella fetta di gara e alla fine chiuderà quattordicesimo, ovvero la posizione in cui si è qualificato. Nonostante uno svarione a qualche giro dalla fine. Sarebbe quasi da sufficienza, in realtà. E infatti, stiracchiata, gliela diamo. Perché quantomeno non fa danni, arriva a pieni giri e nelle ultime tornate con gomme più fresche va come un treno. Quest’anno con pneumatici così determinanti e con prestazioni così vicine tra scuderia e scuderia l’apporto dei piloti è a nostro parere molto più determinante che in passato. Per questo si fa fatica a fotografare le prestazioni di un team, a capire cioè se la debacle Toro Rosso in Canada sia frutto di una vettura che mal si sposa con l”asfalto canadese o a una coppia di piloti che non riesce a tirarne fuori il meglio. Tenete presente che si tratta di giovani sì di belle speranze ma pur sempre giovani. Nel dubbio, almeno con l’australiano, sei di stima e pedalare. In attesa di tempi migliori. Salvato.

Jean-Éric Vergne: 5,5 – Valgono più o meno le considerazioni fatte per Ricciardo, che non stiamo quindi a ripetere per non tediarvi. Due soli appunti: la qualifica deficitaria, nella quale si piazza ventesimo, ripianata però da uno start intelligente che gli fa recuperare quanto perso al sabato. E poi il drive through rimediato per eccesso di velocità ai box. Non se ne vedevano da parecchio tempo, così ad occhio, ma potremmo anche sbagliarci, l’ora è tarda e l’Alzheimer gioca brutti scherzi. La qualifica e l’errore ai box gli fan perdere la sufficienza, seppur di una incollatura. Chiude quindicesimo, doppiato, ma almeno riporta la macchina ai box senza nemmeno un graffio. Dichiarando, a fine gara, allegramente ma non troppo, «Non è affatto un circuito semplice, con quei muretti vicinissimi alla pista, e devi sempre spingere al massimo giro dopo giro». Benvenuto in F1, bellezza. Non di solo Tilke vivrà l’uomo, ma anche di quel po’ di tradizione che lo stramaledetto zio Bernie intenderà generosamente lasciarci, chissà poi per quanto ancora. Spaventato.

Pastor Maldonado: 6 – E dire che in Spagna questo qui aveva vinto. Oggi ce lo ritroviamo contento e soddisfatto, a fine gara, per un tredicesimo posto. A un minuto dal leader. Lo ripietiamo ancora una volta, questo campionato è pazzo davvero. Come pazzo è anche questo weekend, per Pastor. In qualifica prova fino all’ultimo ad artigliare la Q3, arrivando a toccare il muro dei campioni proprio sotto la bandiera a scacchi. A quel punto sostituisce anche il cambio e si trova a partire ventiduesimo. Nello spazio di un amen è però già diciassettesimo, ben davanti al compagno di casacca. Certo, di punti nemmeno a parlarne, ma almeno l’orgoglio è salvo. Sceglie una strategia ad una sola sosta che lo obbliga a guidare sulle uova per tutta la prima parte della corsa, ma alla fine riesce anche a fare qualche bel giro e conclude in tredicesima posizione, davanti alle Toro Rosso, staccando di 50 secondi e rotti il compagno di squadra. Merita forse la sufficienza, stiracchiata. Anche se -come a Monaco- la WIlliams vale più di questi piazzamenti. Ma il problema, oramai cronico, è la qualifica, ed è su quella che dovranno lavorare a Grove. In gara il ritmo c’è, ma partendo oltre la quindicesima posizione la via è dura. Roccioso.

Bruno Senna: 4,5 – Inspiegabile il gap che accusa da Maldonado. Lui dice che paga, nel primo stint, lo scarso feeling suo e della monoposto con le supersoft. Sarà, ma dopo dieci giri lo ha passato anche il copmpagno -che partiva ben dietro- e alla tornata numero 31 il gap tra i due se non andiamo errati è oltre i venti secondi. Taglia il traguardo al diciassettesimo posto, tre posizioni e quasi cinquanta secondi dopo il compagno di squadra. Al quale regala anche quattro decimi nel computo dei giri più veloci in gara. Mettiamola così: non è riuscito a trovare il giusto feeling con la pista, con la macchina, con i muretti di Montreal. Anzi, forse con i muretti sì: ne è riprova la toccatina romantica che rifila allo Wall of Champions a qualche tornata dalla fine. Indolore, ma suggestiva, quasi da film. Nel suo caso una, due o tre soste difficilmente avrebbero cambiato il destino della corsa. Per cui lo immaginiamo ben contento di far le valigie e di lasciare il Quebec prima possibile. Questione di Feeling, cantava qualcuno prima di noi. Sedotto e abbandonato.

Heikki Kovalainen: 7«Venghino, siori e siori, venghino al grande Circus. Spettacolo, emozioni, saltimbanchi, acrobati e pagliacci. Dopo il sensazionale numero di Checo el Loco, l’Allungamento acrobatico dello Stint, venghino ad assistere all’esibizione di Heikki il biondo, detto anche l’Uccello Incazzato. Il Biondino più latino di Rovaniemi metterà in scena il suo numero principe, che lo ha reso famoso in tutto il mondo: la Partenza Cannone». Eh sì, anche Heikki, così come Pérez, ha un numero che gli riesce con inquietante regolarità. E anche a Montreal -non si capisce bene come, visto l’esiguo spazio tra la griglia e la prima curva- il finnico se ne esce fuori alla prima tornata in quindicesima posizione. Tenendola, peraltro, per diversi giri. Poi da lì la noia, o quasi, in quella che lui stesso definisce una corsa «povera di eventi». Primo dei piloti dei nuovi team, gara a tutti gli effetti solitaria, corretto nei doppiaggi, pulito alla guida, alla fine diciottesimo al traguardo, quattro secondi davanti al Compagno -è proprio il caso di dirlo- di squadra. Noioso, se vogliamo, ma del resto non sapremmo noi stessi che altro pretendere da lui. Razzo.

Vitalij Petrov: 7 – A lui il numero della partenza a razzo non riesce, del resto è Kovalainen che ne ha il copyright, poche storie. Ma a fine gara, conclusa ad appena quattro secondi dal caposquadra, il Compagno Petrov ostenta un ottimismo tanto genuino quanto contagioso. Soddisfatto della gara, del pilotaggio, del degrado delle gomme e impaziente di tornare in pista per provare i nuovi aggiornamenti per le prossime gare. Calmo, ragazzo, verrebbe da dirgli. Ma se guardiamo bene ha a tutti gli effetti buoni motivi di essere soddisfatto della sua gara. Precisa, onesta, pulita. Dopo il primo stint riacchiappa senza troppi patemi Kovalainen e mette in scena una battaglia platonica con lui fino alla bandiera a scacchi, fatta di giri relativamente veloci e di correttezza e altruismo nei doppiaggi. Che è, così come per Heikki, il massimo che si possa chiedere a un pilota Caterham oggi. Per l’adrenalina ripassare, please. Si sta comunque – a parere di chi scrive- ricostruendo una verginità sportiva, in quest’anno di Caterham, un po’ come fece Shinji Nakano nel suo anno in Minardi, ve lo ricordate? Chissà che non gli faccia bene davvero. Umile.

Pedro de la Rosa: 7,5 – Prendeteci pure per pazzi, dite pure quel che volete, ma a noi Pedro in queste ultime uscite sta quasi entusiasmando. A Montreal mette assieme una prestazione eccezionale, tenendo comodamente dietro le due Marussia -del compagno di squadra nemmeno ne parliamo- fino a che le temperature dei freni non salgono a un livello tale da costringerlo al ritiro, evidenziato da una mefitica fumata nera ai box proveniente prioprio dai dischi in carbonio. Peccato, peccato davvero, perché ce la mette tutta e si inizia anche a vedere qualche risultato. A rigor di logica, visto l’esiguo numero di giri percorsi, sarebbe ingiudicabile, ma ce ne strafreghiamo e gli rifiliamo lo stesso un voto. Anzi un Votone. Perché tanto comandiamo noi. E -soprattutto- perché se lo merita. Ha comunque 41 anni, non è un ragazzino. Eppure ci prova ancora, anche lui. Commovente.

Narain Karthikeyan: sv – La sua gara -solitaria in ultima posizione- dura appena una ventina di giri, quando finisce i freni, va in testacoda ed è successivamente costretto al ritiro. In precedenza non aveva fatto sfracelli, anzi, veleggiava allegramente -come di consueto- in ultima posizione dopo una partenza che definire prudente è eufemistico anzichenò. Ma in questo caso siamo generosi, non facciamo eccezioni alla regola, ed evitiamo d’infierire con un votaccio. Questo è quello che passa il convento, ahinoi. C’è crisi. Lento.

Timo Glock: 5,5 – Come sarcasticamente direbbe Niki Lauda «Apre il libro delle scuse a pagina 9» ed elenca con dovizia di particolari tutto quello che non ha funzionato. Se la prende -nell’ordine- con il degrado delle gomme, soprattutto le posteriori, con le temperature troppo elevate del motore, che ne limiterebbero l’efficienza, con le troppe bandiere blu che gli impedirebbero di sfruttare le coperture appena montate, ed infine col pedale del freno che si allunga sempre di più fino a costringerlo al ritiro. Dell’ultimo aspetto ne siamo certi. Sugli altri forse anche. Certo è che per tutta la gara le prende da Pic, che per quanto bravo sia è pur sempre un esordiente. Il ritiro gli evita l’onta dell’arrivo alle spalle del giovane transalpino. Ma non quella dell’insufficienza. La Marussia in Canada fa un passo indietro evidente rispetto alle ultime apparizioni, certo, ma c’è modo e modo di incassare questa situazione. Affaticato.

Charles Pic: 7 – A noi è piaciuto anche in Canada. Su una pista sulla quale aveva ottenuto la pole in GP2 ma in cui non aveva mai corso in Formula 1, trova subito un buon feeling e, nonostante venga battuto da Glock in qualifica, è capace di replicare con gli interessi in gara. Si installa ben davanti a Glock e lì resta fino alla fine, costante, preciso, corretto nei doppiaggi -tanti- e nelle varie situazioni complicate. Certo, dare sette a un pilota che arriva a tre giri dal primo pare un’eresia, e forse lo è. Ma se voi ci spiegate cosa dovrebbe fare un esordiente -su una delle due peggiori macchine in gara- più che battere il proprio compagno di squadra e tagliare il traguardo senza errori, beh allora siamo disposti ad editare la pagella e a mettere il voto suggerito da chi ci darà la spiegazione più convincente. Altro che movimento a Cinque Stelle, questa sì che è democrazia diretta. Fatevi sotto, l’Agone Politico smania per leggere le vostre rimostranze. Pazzi [noi], ma diciamo sul serio. Coraggio!!!.

Manuel Codignoni
www.f1grandprix.it

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