La storia di Bruno Giacomelli

La storia di Bruno Giacomelli

Bruno Giacomelli nasce il 10 settembre 1952 a Pontecarale, in provincia di Brescia. A 16 anni comincia a correre con le due ruote nel motocross, salvo poi cambiare tre anni più tardi appassionandosi all’automobilismo.

Si iscrive quindi nel corso del 1971 alla scuola per piloti di Henry Morrogh e l’anno seguente, non ancora ventenne, esordisce in Formula Ford nella serie italiana guidando per la Tecno, scuderia nostrana fondata dai fratelli Pederzani. Il 1973 é un anno di inattività per Giacomelli, che torna un anno più tardi in pista nel campionato Formula Italia, ottenendo la sua prima vittoria; nel 1975 il titolo di categoria sarà suo. Sempre negli stessi anni lavora in diversi campi: é prima tipografo, poi operaio addetto alle macchine utensili e addetto alle riproduzioni d’arte.

Nel corso del 1976 abbandona il proprio impiego trasferendosi in Inghilterra, dove abbondano i campionati automobilistici; per Bruno é l’occasione di concentrarsi sulla propria passione e farsi notare da qualche team importante. Prende parte al campionato britannico di Formula 3 con la March, vincendo il trofeo ShellSport e giungendo secondo nel trofeo BP. Secondo alcune voci ricevette un’offerta da Enzo Ferrari per un sedile in Formula Uno dopo che lo vide in azione durante il Gran Premio di Monaco. Promessa che evidentemente non venne mantenuta, essendo designati come piloti della stagione 1977 Niki Lauda e Carlos Reutemann prima, Gilles Villeneuve dopo in sostituzione dell’austriaco.

Giacomelli ripiega quindi sulla Formula 2, sempre su offerta di Ferrari, correndo a bordo della March di cui egli stesso era stato, in un certo senso, padre. Aveva infatti disegnato alcune parti come il cruscotto e la pedaliera, mostrando non solo le proprie capacità alla guida, ma anche un certo acume. Nel 1978 vince il titolo italiano ed europeo, vincendo ben otto delle dodici gare in calendario, un record ineguagliato. Nel frattempo aveva avuto l’occasione di debuttare in Formula Uno nel Gran Premio d’Italia grazie alla McLaren, dovendosi però ritirare.

Nel 1978 corre ancora per la casa di Woking, che gli mette a disposizione una M26, vettura mal progettata. Delle cinque gare disputate il miglior piazzamento é un settimo posto nel GP di Gran Bretagna, dove tra l’altro ricevette le accuse infondate di Lauda, ostacolato dall’italiano durante la fase di doppiaggio. Seguono due ritiri nel GP di Francia e d’Olanda.
Curiosamente sulla fiancata della propria monoposto porta il soprannome”Jack O’Malley”, storpiatura data dai meccanici inglesi nel pronunciare il suo cognome.

Al termine della stagione viene contattato dalla Alfa Romeo, rientrante come costruttore dopo molti anni d’assenza. Il modello 177 non si rivelò propriamente un fulmine: anche a causa di alcuni chili di troppo la stagione si concluse senza punti. Per la stagione 1980 gli venne affiancato il francese Patrick Depailler, con cui la casa del biscione puntava ad ottenere buoni piazzamenti durante l’arco del campionato. Di fatto Giacomelli ottiene i primi punti nella gara di apertura, in Argentina, grazie ad un quinto posto ed alla competitività della nuova monoposto, denominata 179. Durante alcune prove private presso il circuito di Hockenheim Depailler morì in circostanze tutt’oggi non chiarite; a tal proposito Giacomelli dichiarò: « Depailler fa un giro e poi mi dice: «C’è qualcosa che non va, Bruno, provala tu». Faccio due tornate piano e rientro, senza aver avvertito nulla di strano. Patrick risale in macchina, fa un giro, poi non passa più. Credo ancora all’ipotesi di un cedimento della sospensione ». Quella stessa stagione si concluse comunque positivamente sebbene i risultati non fossero dei migliori: parecchi ritiri, una pole position al GP degli U.S.A. ed un quinto posto in Germania. Ottiene dall’Alfa Romeo un prolungamento di contratto per altri due anni.

Il 1981 è senza ombra di dubbio il suo miglior anno nella massima serie: ostacolato da molti problemi di affidabilità e competitività riesce ad agguantare il terzo posto nel Gran Premio di Las Vegas, rimontando dopo un testacoda a metà gara. Si trattò del ritorno sul podio per la casa milanese, non accadeva dal Gran Premio di Spagna del 1951.
Purtroppo il 1982 si rivela deludente, con un solo quinto posto all’attivo. Giacomelli passa alla Toleman come secondo pilota, dove non ottiene particolari risultati e l’anno seguente viene sostituito dall’esordiente Ayrton Senna.

Abbandonata la Formula Uno, nelle stagioni seguenti “Jack O’Malley” prova la Indy Car, ottenendo un quinto posto come miglior risultato, in coppia con Emerson Fittipaldi. Tra 1986 e 1988 corre nel WTCC e nel campionato interserie con la Lancia, rischiando anche la morte in un brutto incidente. Tornerà in pista solo 5 mesi più tardi, dando segnali di non mollare. Al termine della stagione ’89 ritroverà anche un sedile in Formula Uno come tester per la scuderia Leyton House, team organizzato dall’italiano Cesare Gariboldi (nel 1987 aveva vinto la categoria F3000 con Ivan Capelli).

Nel 1990 ritorna ufficialmente a correre nella massima serie con il team Life. La scuderia italiana fondata da Ernesto Vita disponeva di un particolare propulsore W12 che non ebbe particolare fortuna: ad Hockenheim, lungo il rettilineo, la vettura non superava i 240 km/h; per fare un raffronto, la McLaren di Senna andava a 100 chilometri l’ora più veloce in quel tratto. Per ben 12 volte consecutive l’esperto Giacomelli non riuscì a prequalificarsi, con distacchi di oltre dieci secondi dall’ultimo.

Dopodiché decise di ritirarsi definitivamente dalla scena mondiale.

Pilota onesto, instancabile ed oltremodo intelligente, Bruno Giacomelli ha saputo portare ad ottimi risultati monoposto che in mano ad altri avrebbero avuto un destino assai diverso.
Se ai giorni nostri si parla di “fuga di cervelli”, si può dire che egli fu uno dei primi, decidendo di sacrificare vita e lavoro che aveva in Italia, per cercare fortuna all’estero inseguendo il proprio sogno, mettendo in campo le proprie abilità, che sfortunatamente non si espressero mai appieno, ragion in parte dovuta al non aver mai gareggiato con monoposto realmente competitive nella massima serie.

 

Andrea Villa

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