GP Russia – Mercedes irride i rivali, per la Ferrari un podio malinconico

GP di Russia tinto d'argento. Raikkonen a podio, Alonso a punti, Vettel buttato fuori da Kvyat

GP Russia – Mercedes irride i rivali, per la Ferrari un podio malinconico

Dalla Russia con…amarezza. Impotenti e annichiliti dinanzi allo strapotere Mercedes, inermi dinanzi a cotanto sfoggio di inarrestabile forza. Il GP di Russia ci consegna una Ferrari con ossa e morale a pezzi, delusa e arrabbiata, demotivata e in totale balia della Mercedes, con quel sogno mondiale che pare bestemmia soltanto a pronunciarsi ormai.

Scherza la banda teutonica, fa ciò che vuole e suona la marcia trionfale nel silenzio inerme dei rivali. Nico Rosberg è diavolo travestito da angelo, viso pulito e determinazione da campione. Pole, vittoria, giro più veloce e sempre in testa. Lo chiamano Grand Chelem, riusciva solo ai più grandi, a gente come Clark, Senna, Schumacher. Rosberg è tanto sottovalutato quanto incattivito da due anni di batoste, la sua svolta coincide con la crisi di Lewis Hamilton. Già Lewis; la (pop)star isolata, el caballero de la triste figura che si mette in un angolo con le cuffiette durante la drivers’ parade, campione superpagato al quale Brackley non riconosce lo status di prima guida, tutt’altro. Quanti sorrisi per Rosberg, uomo immagine perfetto, bravo ragazzo, tedesco che vince con auto tedesca. Tutto perfetto, come i 100 punti in quattro gare che atterrano Hamilton, incapace finanche di stappare lo champagne sul podio per il secondo posto.

Chi sta peggio però è la Ferrari. La bianco-rossa coraggiosa, ma sfortunata. E sì che c’hanno provato a Maranello. Applausi, sinceri, per il tentativo. La monoposto è un concetto nuovo, dall’aerodinamica alla PU. “Rischiare” è tuttora il mantra di un irriducibile Arrivabene. Tutto giusto se non fosse che la pista è stata ancora, ahinoi, impietosa con il Cavallino. Ci sono tutti gli ingredienti per parlare di anno storto, dai continui problemi di affidabilità alle sfortune di vario genere. Ma è un dato di fatto che la Ferrari ha cullato un sogno di mezzo inverno pressoché irrealizzabile e che anzi la forbice con la Mercedes su piste come questa qui – tutte motore e dove bisogna spingere “duro” sulle gomme – è addirittura imbarazzante. Il giro più veloce fatto segnare da Rosberg all’ultimo passaggio è un messaggio piuttosto chiaro, se non distruttivo. Inferno Mercedes, laddove ormai giace anche la speranza.

Che poi per la Ferrari, nonostante il cielo terso della Russia meridionale, abbia piovuto anche sul bagnato è un dato di fatto. Il capitano Sebastian Vettel in una manciata di curve è stato tartassato, crocifisso, quasi perseguitato, dall’appannata follia di un irriconoscibile Kvyat. Doppio, allucinante, tamponamento, con il russo che ha perso la bussola nel GP di casa, offuscato da un nervosismo e una pressione che hanno radici profonde.

A ventidue anni Daniil Kvyat ha affrontato il GP di casa partendo da un duplice equivoco di base: una competitività annunciata, tracotante, soltanto teorica, della Red Bull e un sedile che sembra scappargli da sotto. “E’ così che tratto i miei piloti, devono stare sulle spine” complimenti al dott. Marko, capace di “caricare” ragazzi per poi bruciarli come fossero oggetti, scambiando esseri umani per pedoni di una scacchiera in continuo divenire. Brava anche la Red Bull, ad annunciarsi anti-Mercedes in pectore, per poi sparire appena messo piede in pista. Kvyat ha sbagliato, era da bandiera nera, ma quello ammirato in Russia è un ragazzo in confusione anche e sopratutto a causa di una pressione disumana messagli addosso.

In un quadro già di per se tinto di rosso malinconico, è sport nazionale accanirsi contro Kimi Raikkonen, il bollito della curva affianco. Va da se che Kimi in effetti non è stato molto reattivo alla ripartenza, sbagliando tattica contro la Williams, ma da lì in poi il finnico ha fatto il massimo, uccellando il connazionale Bottas nel gioco delle soste e portando la Ferrari sul podio. Probabilmente, al netto dei critici con i paraocchi, Raikkonen è l’unica nota lieta di questa Ferrari. Concreto, capace di “sostituire” Vettel quando le sfortunate circostanze lo richiedano, già due volte sul podio in quattro gare. Kimi c’è, ed è ingeneroso e poco corretto continuare a dire che la Ferrari corre con un solo pilota. E’ un leitmotiv stucchevole, non comprovato dai fatti.

In Russia s’è rivista una Williams giocoliera, in stile Inghilterra 2015, capace di sognare e spegnersi, ma di portare comunque a casa risultati concreti. Redivivo Valtteri Bottas e regolare il sempreverde Felipe Massa. Eroe di giornata – come Achille che torna in battaglia dopo la morte di Patroclo – è però Fernando Alonso. Indomito guerriero capace di issarsi fino ad una nobile sesta posizione con quella poca roba che è la McLaren-Honda, confermando in gara quanto ancora possa e deve dare alla F1.

McLaren comunque da tenere d’occhio, un progetto radicale che segue vie sconosciute agli altri, quasi misteriosi. E dopo un anno s’è passati dalla zona Manor alla zona punti (Button decimo). Punti anche per Kevin Magnussen (i primi con Renault e della Renault, bravo) e Romain Grosjean, un gradito ritorno con la sorpresa Haas-Ferrari.

Ma il GP di Russia ci ha lasciato spunti e storie da raccontare, non certo emozioni. La gara è finita al venticinquesimo giro quando tutti i big avevano effettuato l’unica sosta ai box. Assurdo correre su catini così monotoni con curve a novanta grandi “ammazza-speranze”, assurdo ancora di più farlo con gomme che non si degradano minimamente. Un inno alla monotonia senza precedenti, una processione che è piaciuta soltanto a chi l’ha guidata dall’inizio alla fine. A quel Rosberg che ride di gusto e che non smette di togliersi fastidiosa sabbia di spiaggia caraibica dalle scarpe.

Antonino Rendina


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