Formula 1: Tilke e l’ombra del Business

Formula 1: Tilke e l’ombra del Business

Gli ultimi 10 anni della storia della Formula 1 sono stati caratterizzati dall’ingresso nel Circus di un artista particolare. Non un artista del volante, ma della penna.

L’ingresso in F1

Hermann Tilke, architetto tedesco classe 1954, è a capo dal 1984 della Tilke Engineering, società specializzata in Architettura, Ingegneria civile ed elettronica e dal 1999 vede i circuiti da lui realizzati come palcoscenici del Mondiale di Formula 1.

Il primo tracciato da lui disegnato interamente ad aver preso parte al Mondiale è quello di Sepang, in Malesia.
La gara prese il via il 17 Ottobre del 1999 e fu vinta da Eddie Irvine al volante della Ferrari, davanti a Michael Schumacher.

Le prime opere drammatiche

“Chi ben comincia è a metà dell’opera”, si dice.
Se le premesse potevano essere buone, appurato che Sepang è un circuito piuttosto impegnativo e tecnico, i lavori successivi di Tilke hanno fatto storcere il naso alla maggior parte degli appassionati e dei nostalgici.
Bernie Ecclestone, infatti, ha commissionato negli anni diversi lavori all’architetto tedesco, con l’obiettivo (ufficiale) di rendere i tracciati più sicuri e quello (ufficioso) di permettergli un maggior ritorno economico.

Non si spiegano con altre motivazioni le modifiche selvagge subìte da Nurburgring e Hockenheim

La prima ha visto sostituita la veloce chicane iniziale da un improbabile complex da seconda/terza marcia ottimamente visibile da una nuova tribuna (…)

In grigio la parte coinvolta nella modifica

La seconda è stata letteralmente violentata e trasformata da pista mozzafiato a kartodromo corredato da nuove tribune e vie di fuga chilometriche.

La 'violenza' subìta da Hockenheim. In grigio, il vecchio glorioso tracciato.

I lunghi rettilinei tra i boschi non permettevano la costruzione di tribune e rendevano l’intera struttura poco “televisiva”. Pochi cartelloni pubblicitari, pochi spettatori per gran parte del tracciato = poco ritorno economico.
Si è compiuto così il primo disastro dell’era moderna della F1.

Nuove creazioni

Successivamente a Nurburgring e Hockenheim, altre Gran Premi hanno preso parte al Mondiale con piste realizzate da Tilke:

Bahrein, Cina, Turchia, Singapore, Valencia, Abu Dhabi, Corea (New Entry 2010) e USA (in programma nel 2012)

Se per Valencia e Singapore, trattandosi di due cittadini, gli spazi per l’ingegno erano limitati, per tutti gli altri circuiti la caratteristica principale, e incomprensibile, è sempre la stessa: lunghi rettilinei intervallati da frenate decise che spezzano il ritmo.

Non vi è dubbio sul fatto che i circuiti siano stati costruiti con un occhio di riguardo alla sicurezza. Ma ad Abu Dhabi, per esempio, si fa fatica a distinguere quale sia la pista e quali siano le vie di fuga come si vede in questo On-Board di Fernando Alonso.

E’ incomprensibile come, visti gli spazi immensi a disposizione dell’architetto, siano stati disegnati tracciati caratterizzati unicamente da lunghe accelerazioni e curve a gomito da prima marcia.
Eccezion fatta per Sepang, il cui secondo settore conta veloci curve in appoggio da 4a e 5a, le altre piste sembrano degli Stop and Go replicati per i 5 continenti quando, con veri e propri deserti a disposizione, sarebbe stato possibile costruire (per assurdo) delle perfette repliche di Spa con vie di fuga adeguate a garantire la sicurezza necessaria ai piloti.

Considerazioni

Si parla da anni del poco spettacolo offerto dalla Formula 1.
La motivazione principale è, a detta di tutti, l’aerodinamica delle monoposto attuali, che disturba eccessivamente le vetture che seguono e non permette agevolmente i sorpassi.

Non bisogna nascondere, però, che se i nuovi tracciati da un lato garantiscono un altissimo standard di sicurezza, dall’altro sono un incentivo alla pennichella pomeridiana. Tanto da essere costretti ad aspettare un appuntamento “storico” (Montreal, Spa e Monza per citarne tre) per respirare aria di vera F1.

Qualcuno si domanderà: “Perchè tutte queste piste nuove, quando in giro per il mondo ce ne sono già tantissime?”. Bella domanda. Ma una risposta, purtroppo, c’è.

La Formula 1 è ormai un business che gira intorno a se stesso, e i soldi vanno dove ci sono soldi. Portare la F1 in luoghi inesplorati vuol dire esportare il business e cercare nuove frontiere, nuovi sponsor, nuove entrate.
Ecco il perchè del costruire in mezzo al deserto Coreano (ammesso che ci si riesca a gareggiare), ad Abu Dhabi e in altri paesi nei quali anche soli 15 anni fa mai si sarebbe pensato di portare un GP.

Inoltre, per la serie “cornuti e mazziati”, nonostante siano impianti nuovi gli appassionati non hanno nemmeno la soddisfazione di vedere circuiti entusiasmanti che regalano spettacolo, ma tracciati senza senso in cui le monoposto sfilano in fila indiana senza possibilità di sorpasso. E se fino all’anno scorso,con i rifornimenti, la carte si rimescolavano in parte, adesso solo un errore nel cambio gomme può garantire colpi di scena.

Inutile elencare le piste che potrebbero garantire maggior spettacolo e ridare vigore a questa Formula 1.
Sotto il motto “prima di tutto la sicurezza” si nasconde l’ombra gigante del business.

Alessandro Secchi

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