1994 – 2014: Senna Sempre

1994 – 2014: Senna Sempre

Vent’anni sono ormai passati da quella dolorosa domenica pomeriggio. Era il primo maggio 1994, la Formula Uno correva ad Imola in un weekend che si sarebbe rivelato tragico sin dalle prime battute. Il venerdì un giovane Rubens Barrichello su Jordan ebbe un terribile incidente alla Variante Bassa, la vettura va in pezzi ma fortunatamente il brasiliano ne esce quasi illeso. il sabato si ebbe la prima tragedia: durante la sessione di prove dalla Simtek di Roland Ratzenberger si staccò l’ala anteriore mentre stava percorrendo la curva dedicata a Gilles Villeneuve ad oltre 300 km/h. La mancanza di deportanza causò l’impossibilità di sterzare e l’inevitabile impatto con il muretto, cosa che non lasciò scampo al 34enne austriaco. Un clima pesante scese sul paddock e tutti ne furono avvolti: piloti, meccanici, commissari e spettatori. Si decise comunque di proseguire regolarmente con le qualifiche e quindi la gara rimase fissata per il giorno seguente. Naturalmente anche Senna ne rimase sconvolto tanto che Sid Watkins, l’allora medico ufficiale della Formula Uno, gli parlò apertamente: «Ascoltami Ayrton, tu hai già vinto tre titoli mondiali, sei l’uomo più veloce del mondo. Perché non ti ritiri? Io faccio lo stesso ed andiamo a pescare insieme.», ma la risposta del pilota fu negativa. Si ritirò nel suo motorhome lasciando un foglio attaccato alla porta che recitante: “Strictly no admittance”, l’equivalente di “accesso limitato”. La sera nessuno fece pressioni su di lui affinchè corresse, Frank Williams lasciò a lui la decisione di presentarsi o meno in griglia il giorno seguente perché dopotutto a correre, ad essere dietro il volante, sarebbe stato Ayrton.

Domenica 1 maggio 1994.

Ayrton, che soffriva di scarso feeling con la monoposto, al termine delle qualifiche del sabato ottenne comunque la pole position davanti a Schumacher, il quale stava dettando legge sin da inizio stagione, decidendo di presentarsi sulla griglia di partenza. La telecamera inquadrò il brasiliano già seduto all’interno dell’abitacolo della monoposto. Ma c’era qualcosa di strano, insolito: non indossava il casco, cosa che pochissime altre volte aveva fatto sulla griglia di partenza ed ha uno sguardo perso, non concentrato come suo solito, fisso ed al contempo irrequieto. Racconterà poi la sorella Viviane: «Quella mattina Ayrton chiese a Dio di parlargli, aprì la Bibbia e lesse un passo in cui c’era scritto che quel giorno Dio gli avrebbe fatto il dono più grande di tutti, cioè Dio stesso.»

Cinque, sei, sette telecamere lo riprendono mentre continua a toccarsi i capelli, lancia dei finti sorrisi e guarda nuovamente verso un punto sconosciuto, il casco giallo-verde posato di fronte a lui sul musetto della Williams sembra fissarlo severamente. È circondato da persone, eppure sembra così solo. Solitamente il suo volto, una volta a bordo della vettura, cambiava espressione ed assumeva un aspetto che gli conferiva una sorta di invulnerabilità, dai suoi occhi sprizzava un’energia unica. Ma quella domenica non fu così. Il viso corrucciato in una smorfia quasi di dolore mentre si allaccia le cinture lascia trasparire tutto ciò che è: l’Ayrton uomo che affronta l’ennesima sfida, ma non sembra conoscere il suo nemico. Non appena la gara partì fu subito messa in regime di safety car per un contatto durante la partenza e pertanto fu necessario pulire il rettilineo dai detriti. Alla ripartenza Senna stampò subito un giro veloce cercando di avvantaggiarsi sui diretti inseguitori. Finché non cominciò il settimo giro.

14.17

È l’orario dell’incidente di Senna lungo la curva del Tamburello. Immediati i soccorsi ed il trasporto all’ospedale di Bologna. Il professor Watkins disse che dopo averlo tirato fuori dall’abitacolo e cercando di fare tutto il possibile il suo corpo emise un respiro, l’ultimo, dopodiché si rilassò. Jeremy Clarkson, noto conduttore di Top Gear, disse che il disperato volo in elicottero verso l’ospedale fu la trasfigurazione dell’anima del pilota che se ne volava via per sempre; effettivamente dalle immagini traspare un qualcosa di surreale che sembra dar ragione a tali parole.  Dopo l’estrema unzione, alle ore 18.40 viene annunciata la morte cerebrale del pilota brasiliano (allora lo prevedeva la legge italiana) in diretta televisiva. La salma venne poi trasportata tramite volo speciale in patria dove si svolsero i funerali di stato in data 5 maggio.

Qui finisce la storia di un uomo. Qui comincia la sua leggenda.

Il Pilota

Sono i numeri a parlare: 162 Gran Premi disputati, 80 podi di cui 41 primi posti, 23 secondi posti e 16 terzi posti. 3 titoli mondiali (1988, 1990, 1991). 19 giri veloci, 37937 chilometri percorsi su una Formula Uno di cui 13676 in testa partendo per ben 65 volte dalla pole position: statistiche incredibili. in undici anni cambiò quattro scuderie: Toleman (1984), Lotus (dal 1985 al 1987), McLaren (dal 1988 al 1993) e Williams (1994). Calcolatore? Non esattamente, bensì un misto tra costanza ed invenzione. In un’intervista datata 1993 gli si chiese quale fosse stato il suo avversario più forte. Ayrton tenne il microfono in mano, guardò l’intervistatore mentre con lo sguardo ricercava nelle pagine della sua memoria, poi da un silenzio quasi catatonico se ne uscì con: «Doveva essere circa il 1977, o ’78. Si chiamava Fullerton ed era inglese, correvamo coi go-kart nella stessa categoria ed eravamo compagni di box. Era molto forte e poteva vantare più esperienza di me. Allora non c’erano soldi o politica, c’era solo competizione allo stato puro.» Difficile pensarla diversamente per Ayrton, lui che ricercava la velocità con costanza maniacale, una costanza che gli permise di fare tutto ciò che lo ha reso tale. Un episodio su tutti, quando era ancora bambino, che lui stesso raccontò: «La mia prima gara di kart sotto il bagnato fu un completo disastro, non riuscì a fare niente se non continuare a girarmi. Dopodiché decisi di fare il necessario affinchè ciò non succedesse più.» Dai racconti di sua madre apprendiamo che non appena si presentavano condizioni climatiche sfavorevoli Ayrton si precipitava in pista e girava, sotto pioggia e freddo lui incessantemente girava con il suo mezzo, finché non arrivò all’apice, divenne capace di dominare ogni mezzo che guidava nelle peggiori condizioni immaginabili, diventando “The Magic”. Grazie al diluvio di Monaco ’84 portò il proprio nome alla ribalta guidando una Toleman-Hart, monoposto non di certo all’interno del lotto delle monoposto al top, sorpassando gli avversari con estrema facilità e portandosi alle spalle del leader Prost, prima che venisse sventolata la bandiera che preannunciava la fine anticipata della gara.

Alain Prost. Colui che più si insidiò nella vita del Senna pilota, amico nelle fasi iniziali con la McLaren, nemico giurato di lì a poco, dopo la vittoria del primo titolo iridato. Clamoroso l’incidente di Suzuka ’89: il contatto tra i due, la ripartenza di Senna ed il ritiro di Prost, poi la squalifica per il brasiliano ed il titolo mondiale al francese, il Professore calcolatore. Che l’anno successivo, sempre in Giappone, ricevette la “Vendetta” di Ayrton, il quale dichiarò apertamente: «Ero stato già molte volte preso in giro dal Sistema, così promisi a me stesso che avrei agito a modo mio. Non importa cosa sarebbe successo, avrei fatto le cose a modo mio.», cosa che di fatto fece portando nella sabbia con sé Prost e conquistando il suo secondo titolo mondiale. Naturalmente ci furono altri rivali nella vita di Senna, l’ultimo nell’ordine è Michael Schumacher, ma mai nessuno fu come Prost per Senna, una rivalità unica che si esprimeva con lotte in pista, giri veloci, sorpassi e controsorpassi. Mai un pugno al di fuori dell’abitacolo, battibecchi accesi invece molti e che spesso finivano con il logorare l’animo di Ayrton, con i giornalisti pronti a carpire ogni minima tensione che potesse alimentare il duello.

Ayrton fu il re delle pole indiscutibilmente perché lui non voleva vincere, voleva dominare. Spesso però non ci riuscì. E non sempre per guasti alla monoposto (soprattutto durante le stagioni con la Lotus, in cui la monoposto, che montava i motori Honda, avrebbe potuto consentire al brasiliano di conquistare almeno un titolo), ma anche per errori “banali”, determinati da quella voglia di stravincere su tutti: Monaco ’88 un esempio lampante. Mentre Senna sta letteralmente dominando il Gran Premio si schianta inspiegabilmente contro il guardrail alla curva del Portier, un errore che lascia tutti di stucco, lo stesso brasiliano è allibito per quanto successo e per parecchie ore non si fa trovare, rinchiuso nella sua casa di Monte Carlo a rimuginare su quanto accaduto, a non darsi pace. Molte invece le sue gare “Opera”, ultima delle quali Donington ’93 con una McLaren motorizzata Cosworth nettamente inferiore alle altre. Sotto un diluvio universale “Magic” da una lezione di guida a Prost, Schumacher e Hill, unico non doppiato a fine gara dal brasiliano.

L’Uomo

Personalmente mi sono chiesto se fosse possibile dividere la vita privata di Ayrton con quella da pilota. Ritengo che in parte lo fosse ed in parte no, per molti validi motivi. Come molti ben sapranno il vero cognome del brasiliano è Da Silva, quello del padre, che però preferì sostituire con Senna, quello della madre, quando giunse in Europa per chiari motivi d’immagine, poiché molti suoi connazionali vantavano lo stesso cognome. Inutile dire che fu una scelta alquanto intelligente. Non molti invece sapranno il significato del suo nome: Ayrton significa “stella del deserto”, una luce in un mare di oscurità e vuoto. Un nome che calzò alla perfezione se guardiamo a tutta la sua vita. Perché dopotutto lui era un po’ mistico, un po’ solitario, unico, come il suo rapporto con Dio.

Un personaggio comunque semplice nel complesso, mai banale. Quando parlava molto spesso lasciava il segno, a lui piaceva dire le cose come stavano, pura realtà oggettiva, sebbene in rare occasioni ebbe torto. Non per niente fu in perenne lotta con l’allora presidente della FIA, Jean-Marie Balestre, di cui si hanno filmati di accesi dibattiti durante le riunioni pre-gara. Prendeva seriamente i suoi impegni e ciò che gli permise sempre di avere un vantaggio su tutti in termini prestazionali fu la sua costanza. Come raccontò sua madre durante un’intervista Ayrton da ragazzo finì le scuole superiori con ottimi voti, soprattutto in materie come matematica e fisica, non solo stando attento ma anche impegnandosi il più possibile a casa. Da pilota invece prestò molta attenzione alla preparazione fisica e fu probabilmente il primo ad avere un allenatore personale che fu il famoso Nuno Cobra, il quale curò la preparazione sotto ogni aspetto, con un atteggiamento quasi maniacale.

Ayrton ed il Brasile. Solo alcuni anni dopo la sua morte si seppe che Ayrton donava parte dei suoi guadagni ad associazioni ed enti benefici del suo territorio, teneva alla sua gente e probabilmente sperava in un futuro migliore per un paese che era – ed è tuttora – molto povero, necessita di strutture basilari come ospedali e scuole, ma anche di case con elettricità ed acqua corrente. Fu per milioni di brasiliani un simbolo di orgoglio, di felicità, di speranza che oggi vive ancora grazie alla fondazione che porta il suo nome fondata nel 1995 dalla sorella Viviane (sito, pagina fb). Grazie ad essa molti bambini possono godere di un’istruzione ed un posto dove vivere. Come sempre lapidaria fu la sua frase: «I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità.» per capire quanto guardasse ad un futuro migliore per le generazioni a venire. Amato dai suoi connazionali, riuscì ad essere accostato ad un altro mito brasiliano come Pelé. Al di fuori delle frontiere del suo paese non godeva certo di fama inferiore, anzi. Un’altra nazione che, per così dire, adottò in qualche modo l’idolo brasiliano fu il Giappone, sicuramente per il fatto che il binomio Honda-Senna era motivo di orgoglio, tanto che il noto fumettista Akira Toriyama (autore del celebre Dragon Ball) dedicò alcune vignette proprio a Senna. Nel 2013 inoltre fu riprodotto un giro di pista del brasiliano sul circuito di Suzuka  con il sound della monoposto del 1989 e luci artificiali che riproducevano il suo passaggio (link). Apprezzato ovunque andasse da molti appassionati del circus della Formula Uno e non è questo uno dei motivi per il quale molti anni dopo il suo ricordo è vivido nelle menti di moltissime persone in tutto il globo.

Il rapporto con Dio. Senna era fermamente religioso e di questo non ne faceva segreto. Portava sempre con sé una Bibbia che leggeva anche durante i weekend di gara. Simpatico l’aneddoto in cui, negli anni di convivenza con Berger in McLaren, l’austriaco lanciò la valigetta – a detta di Ayrton indistruttibile – contenente la Bibbia giù dall’elicottero in volo, scatenando in parte le ire del pilota che qualche ora dopo la ritrovò ancora intatta con all’interno il sacro scritto. Ma al di là di questo il rapporto interiore tra Senna e Dio fu qualcosa che ancora oggi difficilmente potremmo spiegare: una forza interiore misteriosa che in certi momenti di vita si impossessava del brasiliano permettendogli di compiere grandi imprese. Una su tutte la vittoria proprio in Brasile nel ’91: quando cadono le prime gocce di pioggia alza il braccio, quasi ringraziando colui che ha scelto di far piovere, poi però deve fare i conti con un cambio che man mano perde tutte le marce, finché non rimane solo la sesta. Ayrton davanti al pubblico di casa non aveva mai vinto ed ora che era in testa vedeva le sue possibilità di vittoria infrante. Che fare? Come racconterà poi lui in un’intervista successiva: «Trovai in me una forza speciale, che mi permise di giungere primo al traguardo.» A costo di non riuscire più a muovere le braccia Ayrton vinse scatenando la gioia di tutti i presenti e riuscì solo dopo un lungo sforzo ad alzare la coppa una volta giunto sul podio.

La Leggenda

Molti altri aneddoti e curiosità si potrebbero raccontare su Ayrton Senna e questo articolo ne è un esempio. Ciò che accadde quel 1° maggio del ’94 tolse a tutti una presenza forte, sicura e rispettata da tutti. Ma che ancora oggi vive. Ayrton non è più fisicamente tra noi ma quanto ci ha lasciato in 34 anni di vita riecheggia ancora a vent’anni dalla sua scomparsa. È difficile cercare di nascondere il sentimento di rabbia pensando che un piccolo accorgimento o una piccola fortuna avrebbero potuto salvarlo: sarebbe uscito illeso dalla Williams e si sarebbe avviato verso i box sconsolato. Poi certamente si sarebbe arrabbiato per il quarto ritiro consecutivo stagionale salvo rimettersi a lavorare sodo con tutto il team per il prosieguo della stagione. Chissà come sarebbe andata, chissà come sarebbe adesso se fosse ancora qui. Ma la realtà è un’altra e dobbiamo affrontarla non con dolore ma con il ricordo di quanto chi non è più su questa terra ci ha lasciato, i sentimenti e le parole, le imprese ed i desideri di quel pilota che seppe fare molto di più che guidare vivono dentro ognuno di noi che siamo stati e siamo tuttora testimoni.  Trasmettere alle nuove generazioni quanto abbiamo appreso dal personaggio di Ayrton Senna è anche un nostro dovere. Così nasce una leggenda, rimanendo vivida nonostante l’incessante avanzare del tempo.

«Se una persona non ha più sogni, non ha più alcuna ragione di vivere. Sognare è necessario, anche se nel sogno va intravista la realtà. Per me è uno dei principi della vita.»

Ayrton Senna Sempre.

 

Andrea Villa

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